venerdì, novembre 15, 2002

ricevo...e senza filtro passo a voi!

postato da LIVIA ( anche lei BLOGGA su ISABU...fallo anche tu )

'notte!!! LO


IL LAMPADARIO


Era grande quel lampadario, tutto fatto di lampadine a candela fra grosse e piccole gocce di vetro.
Non so che fine possa aver fatto, lo abbiamo lasciato appeso al soffitto del salone quando ci siamo trasferite.
E' rimasto lì a guardarci andare via; gli faceva compagnia solo il grande tavolo di legno acciaio e formica verde della cucina.
Eravamo tanti in quella casa, siamo andate via solo in due e un vecchio cane malato.

E' toccato ai nuovi inquilini tirarlo giù e chissà che fine ha fatto, se lo hanno regalato
magari a un operaio oppure semplicemente lo hanno gettato via, chissà dove.
A volte in me spero che a qualcuno sia piaciuto così tanto da evitargli una triste fine dopo tanti anni di servizio
e di avventure e magari adesso ha solo cambiato proprietario, abbellendo un altro salone con la sua "leggiadra pesantezza".

Era bello ma io mi sentivo sempre piccola di fronte a lui che pur se appeso in alto sembrava superarmi,
sovrastarmi, schiacciarmi e rendermi ancor più piccola.
Avevo una sorta di timore reverenziale nei suoi confronti ma mi piacerebbe poterlo vedere di nuovo
o per lo meno mi sarebbe piaciuto decidere diversamente per lui.
Ma la casa dove siamo andate a vivere è molto più piccola e la cantina che abbiamo a disposizione
non lo avrebbe mai contenuto.

Lo ricordo grande, forse non era così ma se non lo fosse stato lo avremmo sicuramente portato via,
scegliendo quelli della casa più piccoli.
Quello dell'ingresso ora è il lume centrale del salone nella casa di campagna; oblungo nella sua forma,
di vetro e ferro battuto, è appeso alla grossa trave di legno centrale; non si addice molto alla campagna,
ma il cuore ci dice che sta bene così. Quello del salotto (avevamo sia il salone che il salotto),
simile in tutto a quello grande, ma notevolmente più piccolo, sempre con gocce di vetro e lampadine
a candela ora è il lume del nostro salone/salotto; ogni volta che lo guardo però il mio pensiero va a quello
grande e soprattutto alla nostra avventura, quella che ci legava anima e corpo. "Legata a un lampadario?"
vi starete domandando.

Era una sera fredda di novembre del 1980. Avevo 8 anni e come sempre stavo con mia nonna.
Era ora di cena, seduta in cucina mentre nonna preparava la cena; era davvero grande anche quella cucina
(tutta la casa era immensa) ma con nonna tutto era caldo e accogliente. Mamma non c'era, usciva spesso.
Mi sentì persa all'improvviso nel vuoto, la mia testa era leggera leggera, girava.
A quell'età ci si spaventa a volte di queste reazioni del corpo umano così dissi: "Nonna mi gira la testa".
Lei me lo ricordo come fosse ieri, imperterrita continuava nella sua mansione di cuoca e mi disse:
"Anche a me ma non ti preoccupare sarà la fame".

E chi si preoccupava più, di lei mi fidavo perché ha sempre saputo trasmettermi sicurezza ed è una cosa che adesso a volte mi manca moltissimo.

Ma non era la fame, pur se poteva sembrare più che plausibile. Sentimmo il campanello della porta suonare,
a distanza brevissima dalla risposta di nonna; andò ad aprire, non mandava mai me, troppo piccola.
Era la signora dell'appartamento di fronte che agitatissima disse: "Signora presto scenda che fa qui? C'è il terremoto"
Spaventatissima con lei c'erano i signori dell'appartamento a fianco (che avevano due figlie della mia età una e
un po' più piccola l'altra), ma mia nonna serafica e angelica rispose: "e allora?, no no io non scendo, la bimba è
piccola sto cucinando e poi c'è mia mamma non la posso muovere, resto qui e poi ormai è passato".
La Signora tentò di convincerla ma fu irremovibile. Nonna era fatalista e la guerra gli aveva insegnato a non aver paura.
Ne aveva viste e passate tante e me ne raccontava tutti i giorni. Era affascinante.

Ma mentre parlava con queste persone (cucina e ingresso erano confinati risentiva tutto) io di scatto,
non so per quale motivo, corsi verso la porta laterale che dava al salone direttamente dalle stanze.
Avevo vicino a me il mio cane che aveva sentito e capito ancor prima di noi e quando era così diventava
molto "coccoloso". Aprì la porta guardando in alto e rimasi a bocca aperta tra lo spaventato e l'affascinato:
il lampadario praticamente parlava da solo con quel tintinnare di tutto le sue gocce di vetro; all'improvviso
sembrava vivere di vita propria in preda a un raptus che lo faceva volteggiare pericolosamente nell'aria;
dato il suo peso capì che la scossa era stata davvero forte, dondolava da una parete all'altra.
Non si ruppe e non si staccò certo, ma faceva paura mastodontico ed elefantiaco com'era danzava come
una ballerina leggiadra e mi spaventò a tal punto che non l'ho più guardato per moltissimo tempo passando
nel salone a testa bassa.

Pietrificata riuscì però a strillare disperata piangendo: "Nonna il terremotoooo". SI occupò subito di me
e di quella mia nuova paura con tutta la sua dolcezza e attenzione. Lei invece non si spaventava mai soprattutto
dei fenomeni naturali; diceva " a quelli non gli puoi fare niente". L'anziana bis-nonna dormiva non ricordo se si accorse
di qualcosa. Fu davvero tanta la paura, mi riportò in cucina e mi fece mangiare ma fece l'errore di accendere la
vecchia televisione in bianco e nero per sentire cosa e dove fosse successo e di preciso le conseguenze.

Errore perché da quel momento della mia vita (ero piccola e impressionabile) vivo una sorta di commistione interiore
tra la paura del terremoto e un fascino calamitino che il fenomeno naturale riesce ad avere su di e,
catturando la mia attenzione e i miei pensieri.
E così è stato da quel momento in poi; vivo ogni terremoto con quella commistione interiore che mi lacera
e mi ammutolisce, soffro per quella gente che non ha più nulla che ha perso qualcuno.
L'mbria l'ho vissuta così anche perché considero Perugia la mia seconda città, quella nella quale ho vissuto
i primi momenti importanti con Lorenzo; e poi l'incanto di Assisi e Gubbio ferite così profondamente;
ci torniamo spesso e abbiamo potuto constatare il lento ritorno alla normalità e allo splendore di sempre.

Poi c'è Catania dove vive una mia grande amica e il Molise terra di persone di famiglia che reputo dei parenti;
hanno la casa gravemente lesionata e nei loro occhi ho letto paura e terrore; erano lì in quei giorni delle scosse;
gli si legge in volto la sofferenza; e fa male vederli così; hanno vissuto ogni istante e hanno visto le persone
per strada disperata senza più un dove.

Livia

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